4 storie che spiegano il legame tra la Val di Non e l’orso
Non è raro sentir parlare di orsi in Val di Non e le ragioni che legano la valle e la sua storia all’orso sono più di una. Tra notizie storiche, progetti di salvaguardia, iconografia e tradizioni popolari vi portiamo in una breve e curioso percorso di conoscenza.
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Gli orsi del Mattioli
Medico botanico senese, Andrea Mattioli, chiamato in Trentino da Bernardo Clesio agli inizi del ‘500, si stabilisce a Cles per qualche tempo e innamorato della zona si dedica qui alla sua attività di ricerca e studio. A lui si deve una raffigurazione geografica delle valli di Non e di Sole, dove traspare tutto il suo interesse per gli aspetti di botanica e per la fauna del territorio.
I dettagli naturalistici sono davvero interessanti per la loro perfetta riconoscibilità, osservando la carta ci si può divertire a scovare gli animali tra boschi e rocce.
Oltre a un camoscio, 4 cervi, uno stambecco, 2 linci, un bue e un uccello, il Mattioli rappresenta ben 5 orsi, alcuni dei quali si distinguono in modo chiaro nella parte bassa della carta. L’attenzione del Mattioli per gli aspetti naturalistici, che arriva a specificare addirittura le essenze degli alberi, porta a pensare che la rappresentazione dell’orso in numero maggiore rispetto agli altri animali si possa spiegare con la sua importante presenza sul territorio.
La storia del ors
No sta a contarme a mi la storia del ors – “Non mi raccontare la storia dell’orso“ è un modo di dire che vi può capitare di sentire in Val di Non, e una volta capito il significato lo troverete sicuramente utile in molte occasioni.
Raccontare la storia del ors significa inventarsi una storia verosimile che possa intrattenere il proprio interlocutore per distrarlo dal vero problema o per temporeggiare, stordendolo con le parole e facendogli credere un racconto in realtà non vero.
Pare che l’origine della storia del ors sia da ricercare in una particolare prova di retorica molto in voga in epoca medievale e di cui si troverebbe riferimento nelle fiabe dei fratelli Grimm. Vuole la leggenda che per ottenere il titolo di magister di retorica presso l’università di Mainz, il candidato dovesse dimostrare le sue doti di oratore superando una difficilissima prova: convincere con argomenti sufficientemente plausibili un orso della Foresta Nera a ballare il tip-tap.
Come si può immaginare non dovevano essere molti a vedersi attribuito il titolo di magister di retorica, ma se pensate di essere bravi con le parole potete provare questa tecnica per tirarvi fuori da situazioni difficili, ma attenti a non esagerare, perché in Val di Non rischiate che vi dicano “Ma penses de contarme a mi la storia de l’ors?!”
L’orso di San Romedio
Uno dei santi più amati e conosciuti in Val di Non è certamente San Romedio, nella sua iconografia è sempre rappresentato con un orso al suo fianco o addirittura mentre lo cavalca. Secondo la leggenda infatti, San Romedio avrebbe reso mansueto l’orso che aveva attaccato il cavallo con cui egli si doveva recare a Trento. Da quel momento l’orso diventa per Romedio non solo il compagno di viaggio ma sostituisce anche il ruolo del suo cavallo, per questo lo si trova rappresentato bardato con i paramenti per essere cavalcato.
Oggi, c’è una piccola area faunistica che ospita un orso allestita accanto al santuario di San Romedio, Per chi conosce e frequenta spesso l’eremo non è certo una novità, l’esemplare che attualmente vive nei pressi dell’eremo si chiama Bruno ed è un bellissimo orso bruno, molto amato sia dai grandi che dai bambini.
Il primo orso ad essere ospitato a San Romedio, nel 1958, fu Charlie, un orso da circo destinato a morire che il senatore di famiglia nobile Gian Giacomo Gallarati Scotti comprò e affidò al santuario. L’originario recinto, nel tempo trasformato e ingrandito fino a diventare una piccola area, da allora anche se non continuativamente, ha ospitato vari esemplari d’orso.
Gli orsi del progetto Life Ursus
Anche la Val di Non è stata coinvolta nel progetto Life Ursus, che ha previsto alla fine degli anni ’90 la reintroduzione di una decina di esemplari di orso nella zona del Brenta.
Il progetto Ursus- tutela della popolazione di orso bruno del Brenta, promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, è stato avviato nel 1996 con finanziamenti dell’Unione Europea con lo scopo di salvaguardare l’ultimo nucleo di orso bruno presente nelle Alpi italiane.
A seguito di uno studio di fattibilità e di un sondaggio di opinione presso la popolazione, si è stabilito di reintrodurre alcuni esemplari in modo da riportare gli orsi nel territorio del Brenta.
Nel 1999 è iniziata la fase operativa del progetto, con la liberazione degli orsi Masun e Kirka, i primi due esemplari reintrodotti, provenienti dalla Slovenia. Negli anni successivi fino al 2002 sono stati liberati altri 8 esemplari, tutti dotati di un radiocollare per poter monitorare i loro spostamenti e verificare le previsioni del progetto.
Secondo l’ultimo rapporto della provincia, sono circa 50 gli esemplari che oggi popolano la zona del parco Adamello Brenta. Il progetto Life Ursus si è concluso nel 2004, ma le attività di ricerca e monitoraggio sulla popolazione odierna degli orsi proseguono coordinate da Parco e Provincia.
Credits: per l’immagine di copertina, la seconda e ultima immagine del testo Parco Adamello Brenta, per la prima immagine del testo grazie per la riproduzione a F. Bartolini, per la terza immagine del testo Vita Trentina